Leonardo

Fascicolo 8


Il Concerto
di Aymerillot (Emilio Cecchi)
pp. 5-7
(5-6-7)


p.5


p.6


p.7



  5

I


   W. Goethe scrive che la monade di Wieland divenuta una lucida stella dopo l'abbandono della spoglia mortale, rota in una sfera dove le più elette anime sono accolte e dove la parola è sconosciuta. Sconosciuta la parola, sì, chè avvince e trattiene il pensiero, ma non le infinite armonie celestiali vibranti dappertutto e da tutto generate; poiché l'armonia, la musica, è il modo più perfetto d'intendersi delle anime che libere dal vincola terreno si elevano alla vita ideale.
   Io non intendo l'anima secondo l'antico concetto che la faceva composta di facoltà complete e distinte, come il castello dantesco della sapienza si componeva di sette torri; ma la immagino simile ad un immenso giardino dove s'intrecciano i fiori più diversi e mescolano i loro odori; dove anche germinano, muoiono e rinascono, come un sogno osceno, i logli


  6

ed i funghi velenosi ; dove giungono da orti vicini che s'odono stormire lì tra il verde, voci misteriose e ondate di profumi. Ma ogni giardino ha il fiore più bello, arbusto preferito che splende in mezzo all'aiuola bianchissima, fiore che ha degli altri fiori le forme più vaghe e gli aliti più dolci; arbusto che trae da un terreno ricco di linfe, la forza che ne tempera la corteccia, e dà le foglie ai rami che si stendono nell'azzurro. Questa pianta è l'essenza del giardino dell'anima e si chiama poesia; poveri quelli che non ne sentono fervere le radici, e gli aliti puri temprare e volgere ogni forza ad altissimi fini.

II


   Quando la vita dell'arbusto si spiega in fiori magici, di tinte che non allietarono mai nessun tramonto, o in forme in atteggiamenti di eterna verità, essa dà luogo alle espressioni plastiche e pittoriche; ed un vento può sfiorare le fronde e suscitare musiche, impressioni, ed il profumo mescersi al suono e generare la compiuta poesia.
   Coloro per cui essenza dell'anima cerca per esprimersi le manifestazioni armoniche, sono i musicisti. Ma anche ogni artista della parola quando volle toccar l'apice dell'espressione, dovè associare alla parola l'idea della musica, e così fecero i tragedi greci, e Dante nel Paradiso, e Goethe nella elevazione di Faust, e Shelley nel cantare le gioie della Terra dopo la liberazione dell'Eroe Pensiero, immaginando tutti, sorgere le armonie che accompnano il loro canto fra rotare di mondi celesti o intrecciarsi di schiere d'angeli biondi e canori.
   Se il vincolo della realtà non stringesse, non io vorrei come il giovine Dante che una nave incantata mi portasse insieme a dolci amici e a donne leggiadre alle rive d'un'isola deserta, per ivi cantare e andar sillogizzando amore, ma vorrei piuttosto in consorzio di donne e di musici sapienti rifuggirmi tra i silenzi d'una foresta e godere in quella pace le più belle armonie che mente divina concepì; prono come gli uomini antichi che tra celeste ansietà di nubi sospese, sulle vette dei monti solitari ascoltavano le voci dei loro Iddii. Con quale ardore, verso il tramonto ridestar sulle corde ogni magnificenza di Beethoven, ogni dolcezza di Chopin, o andar conquistatori per la selva, in mattini avidi di sole e di fiori, alla ricerca d'un tesoro misterioso cantando come l'Eroe Sigirido.
   Ma ogni antico Iddio, ahimè, s'è partito dalle selve, e non più il giovine Orfeo e Omero divino cantano i loro carmi; il libro rispande per il mondo la poesia ed il concerto tien luogo della lira eolia che pende muta da un ramo di lauro poiché i liberi venti non l'eccitano di accordi improvvisi.
   Simile all'Universo ed alla Vita di cui i Poeti intendono e ridicono le voci profonde è un'immortale opera d'Arte. Ma ciò che noi chiamiamo carattere dell'opera e dell'artista è cosa affatto irreale ed astratta, nata da un ravvicinamento, da una rassomiglianza puramente formale delle impressioni diversissime d'ognuno, formale perchè l'espressione del sentimento o soggetta all'uso della parola che permette numerose ma non infinite combinazioni e suscita delle analogie che realmente non esisterebbero e che devono ricercarsi nel fatto che essa non può rendere ogni sfumatura del pensiero e che è impossibile un'analisi perfetta.
   Se dunque è così difficile intendere l'anima d'un poeta com'essa è realmente, dalle poesie; e quelle dei pittori e degli scultori, dai quadri, dai disegni e dalle statue, pur avendo la fortuna di studiar sugli originali e di destare ogni pensiero dalle forme stesse di cui l'ammantò il creatore, come potremo noi comprendere nella loro intima essenza le anime vibranti dei musici, attraverso le sempre varie interpretrazioni dei vari esecutori?
   Come di due corde uguali se l'una vibra l'altra vibra pure nello stesso tono, così nello studio diretto del poema, del quadro e della statua, con qualche alzamento o abbassamento di scala noi vibriamo con l'anima del poeta; ma poichè veramente pochi che dalla musica potrebbero attingere il piacere e l'ispirazione di cui è fonte inesauribile, sanno destare la vita nei muti istrumenti; io dirò che il concertista, l'esecutore, è come quegli che conosce una cava segreta e ce ne porta qualche tesoro, o visita magici lontani paesi, e ce ne dà il racconto.
   Come nell'esperienza per cui se tre sfere d'avorio sono a contatto fra loro l'urto dato alla prima si trasmette alla terza per mezzo della seconda che vibra in un modo a noi invisibile, così la poesia, l'anima d'un musicista passa in noi mercè l'esecutore che la riceve e la trasforma; talchè noi sentiamo il primo secondo il modo di vibrare del secondo, e percepiamo questo ciascuno in maniere diverse.
   Io voglio supporre che un iniziato non abbia ancora udito Chopin. Il concerto nel quale ne udrà i più puri Notturni e in più belle ballate, sarà per lui una rivelazione, e orizzonti dapprima sconosciuti gli si apriranno davanti; ma la maggiore intensità o meno dell'impressione, quanto sarà soggetta al grado in cui l'esecuzione fu viva ed esatta! Il quadro d'un primitivo tolto all'armoniosa tristezza d'una chiesa d'Arnolfo e sepolto in una galleria decorata alla grottesca, si trova certo a disagio tra forme che non armonizzano con le sue troppo stridenti colorazioni, ma lo studioso saprà a seconda isolarlo dall'ambiente e trarre osservazioni e raffronti. Ma un'opera di musica male eseguita è deformata ed irriconoscibile, tanto che per l'ascoltante è escluso ogni vero godimento. Io sollevo perciò la denominazione di concerto dall'impurità di cui il dilettantismo e l'asinità la sozzarono per farsene acconcio sgabello a boria d'applausi mendaci, e come prima rassomigliai il concertatore a quegli che porta tesori da inesauribili cave a lui note, ora chiamerò il concerto: gioiello formato da quei tesori e rievocazione dell'anime dei grandi. Esse si avvicinano a noi con tutte loro sublimi passioni, ascoltiamole come in un'augusta purezza d'Eucarestia e invasi d'ardore sublime come la pitonessa che udiva la voce misteriosa dell'Oracolo. Canta l'Oracolo in una voce che dovrebbe commuovere tutti i cuori, ma quanti sono uomini nel tempio che non intendono?
   Noi ascoltiamo troppo poco di musica.
   Gli ignoranti che amano di figurare in conversazione devono almeno dare una sbirciata alla novità letteraria più in voga per spiattellarne a sproposito nella prima occasione; ma in fatto di musica la cosa è tutta diversa e con due parole più o meno ambigue si può sempre cavarsela. Ma anche gli amanti dell'arte non s'intrattengono nei godimenti della musica, così sovente come nell'ammirazione della statua, del quadro, nello studio fervido dei poeti; si danno i concerti in sale affocate e polverose, e il desiderio di percorrere cantando la selva, in compnia di musici e di donne leggiadre è puramente platonico; c'è invece il caso di trovarsi d'accanto dei buoni papà calvi che esprimono un soddisfacimento tutto a modo loro annuendo rumorosamente o sospirando in modo da far compassione, o dei pedanti che sottilizzano su quisquiglie etimologiche di fughe, terze e semitonati.
   Comunque sia, il concerto è forse meno frequentato da chi invece più dovrebbe gioirne, e l'anime dei musicisti restano per noi come gran giardini di cui ci fermiamo alle soglie, sentendo solo un indistinto fragore di forti chiome percosse dal vento lontano.
   «La musica non ha altro da esser chiamata che sorella della pittura» scrisse Leonardo da Vinci, e quanti furon gli artefici che intuirono ed illustrarono questa gloriosa consanguineità!
   Io trovo che nelle opere di glorificazione di Giotto e dell'Angelico vi è un desiderio più profondo che di svolgere belle teorie d'angeli che suonano e cantano e di disegnare bell'atteggiamenti. È il desiderio d'ispirare nel riguardante un sentimento dolcissimo e indefinito di suoni lontani; è una musica espressa con i colori, che nel modo più completo rende i celestiali armoniosi misteri di lagrime, di vittoria e di trionfo. L'Angelico dov'è certo avere la spinetta accanto ai pennelli ed ai colori nella cella solitaria di S. Marco, o in quella aperta al sole ed al profumo degli ulivi di S. Domenico. Quei suoi angeli che suonan la tromba e si muovono con una grazia che il Botticelli dette alla Simonetta, furon certo concepiti fra l'armonie dei primi accordi d'un Te Deum; e quelli che terminato il canto si raccolgono in una posa di calma immortale; il vento non agita le loro vesti costellate; furon concepiti quando il frate posava le mani stanche sulla tastiera, ed il suono s'innalzava su bianchissime ali.
   I veneziani misero solitari angeli liutisti a piè delle loro Madonne. L'angelo che nel quadro della visita al tempio del Carpaccio, piega il corpicino su di una mandola troppo grande per lui con una grazia troppo fanciullesca e tocca le corde con sottili dita inesperte, è tutto intimo e nuovo di gioie e di dolori d'anime solitarie; troppo lungi dal trionfo d'oro che il frate vedeva nelle sue estasi di Paradiso. Ma anche quella musica che pare debba sopirsi nei silenzi delle gelide chiese primitive, esce ad attinge vita dal sole e nove movenze dal tremolio delle verdi acque lagunari, e Giorgione la sente e l'esprime nel suo concerto come inno che chiude in ogni strofa una speranza o uno sconforto; come l'inno della vita mortale che comincia col bacio della cuna e termina col bacio della morte, e che la Sirena del Fato canta su di una lira inghirlandata di rose e di cipresso agli uomini che sperano o curvano dolenti la fronte.
   Quell'inno musico è come una coppa ricolma di un magico vino. Il giovine ne beve nell'albe dopo notti di gioie, il vecchio per rinfrancarsi lo spirito sopito, l'infelice nell'ebbrietà le proprie miserie.
   Una sinfonia si svolge in tanti motivi ispirati a tante passioni, che ogni anima vi trova la propria eco, vi beve quello che le si confà; ed un grido, un'armonia divengono come il ponte gettato fra quell'anima e l'infinito, dal quale i suoni traggono il loro mistero di grandezza e di malia.
  Quale fonte di ispirazione è la perfetta audizione della musica! Come l'agricoltore pianta la vite nei galestri, e innesta sopra il pesco selvatico un ramicello che produrrà fiori più rosei e frutti più polposi; così il concertista come un seminatore spande nell'anime il seme che ciascuno può ricevere; una sfumatura, un motivo assiduo che poi dilegui dolcemente, quali sogni possono ridestare nell'anima d'un poeta! La musica non ha altro da esser chiamata che sorella della pittura. La poesia da lei ebbe il ritmo ed ha sempre nove agilità, e la pittura ne ebbe il colore.
   Lo Shelley nell' Epipsychidion dice che la sua anima e quella d'Emilia sono fatte come le note musicali per stare unite; ed i colori come le note


  7

traggono infatti la loro suggestività fondendosi nelle più complesse ed armoniose maniere.
   Il color perso è simile agli accordi profondi che attristano l'anima; e infine nella scala cromatica v'è tutta una corrispondenza colla scala dei colori.
   Io ritorno ormai all'ordito colla spola del mio pensiero e aggiungo che godere della pura e altissima musica è come accostarsi ad una forza misteriosa che per manifestarsi ai nostri sensi, meno d'ogni altra vien soggiogata dall'avversa materia.
   Nella bufera e nello zeffiro dei suoni l'anime salgono a immensità sconosciute, e quando ridiscendono sull'ali stanche portano delle solenni ed eterne passioni, un ricordo ed un rimpianto simili a quelli dell'alpigiano che torna arso dalle febbri agli aliti pieni d'aromi dei boschi; e s'attrista quando l'imperiosa necessità lo risospinge lontano da' suoi azzurri, dai suoi abeti, da' suoi torrenti.


◄ Fascicolo 8
◄ Emilio Cecchi